cronache parigi
Laurent Demartini

L’alfabeto della metropolitana

Non esiste una sola Parigi.
Esistono tante Parigi sovrapposte, fatte di gente diversa, di generazioni diverse, di classi sociali, origini, interessi differenti. Parigi che spesso si sfiorano senza incontrarsi mai.
Eppure c’è un filo capace di attraversare tutte queste differenze (o quasi) : la metropolitana, le métro, per gli amici.

A partire da questa terza cronaca, proverò a descrivere qualche sfumatura della capitale francese attraverso il mio personale alfabeto metropolitano.
Il mio odio per le gabbie e la simmetria mi porterà a scrivere molto su alcune lettere e poco o niente su altre. Diciamo che è un po’ come per le linee del métro: alcune attraversano la città e la periferia, altre si limitano a tragitti brevi.

Signore e signori, siete pregati di montare in carrozza, si parte.

A – Arte
Quando si passa come me la giornata a flaner a zonzo senza meta, ci si ritrova spesso con le tasche vuote e si è obbligati a scegliere se comprare una baguette imbottita o un biglietto del museo.
Per fortuna, al modico costo di un euro e novanta, si può scendere in metropolitana e farsi una scorpacciata di arte.
Da ormai oltre un secolo, centinaia di artisti tengono compagnia ai viaggiatori, basta tenere gli occhi aperti e lasciarsi sorprendere.
Per calarsi da subito nell’ottica, consiglio di cominciare il viaggio a Palace Royal – Musée du Louvre. L’ingresso della stazione, la cosiddetta bouche du métro, che si trova in piazza Colette è decisamente insolito. L’entrata è sormontata da fili giganti di perline gialle, rosse e blu : si tratta dell’opera dello scultore Jean – Michel Othoniel, e pare si sia ispirato ai vetri di murano per la sua creazione. Il risultato non è proprio il massimo della sobrietà, ma ogni volta che ci passo, anche quando sono triste, finisco per sorridere e torno per un attimo una bambina in un paese incantato.
Una volta preso il treno, il viaggio artistico prosegue alla stazione seguente. Sulla banchina della fermata Louvre – Rivoli, troviamo delle riproduzioni di alcune opere presenti al Louvre. Possiamo passeggiare sotto una luce soffusa, osservando le nicchie che ospitano statue di faraoni e divinità greche, mentre al nostro fianco sfrecciano pendolari in ritardo, che corrono al lavoro e parlano al cellulare.
Un po’ più in là troviamo la fermata Concorde, dove ogni piastrella ospita un alettera dell’alfabeto o un segno di punteggiatura. Chi è distratto ci vede un’opera d’arte astratta. I più attenti e quelli che come me leggono tutto, comprese le etichette dei bagnoschiuma, scopriranno che quelle lettere, una dopo l’altra, compongono il testo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. A volte mi fermo e spero che altri mi imitino e leggano con me, perché in questo momento abbiamo un gran bisogno di ritrovare il senso di quelle parole, figlie della rivoluzione francese.
Altre volte preferisco osservare mosaici più divertenti, come a Porte de Lilas, dove ce n’è uno dedicato al cantautore Georges Brassens. Per chi non lo conoscesse, basti sapere che Brassens ha composto più di cento canzoni capaci di fare ridere e riflettere allo stesso tempo. Se non parlate francese, potete tranquillamente godervi la traduzione italiana del suo brano “Il gorilla” nella versione di Fabrizio De André.
Dimenticavo, per i milanesi imbruttiti, c’è anche la versione di Nanni Svampa, in dialetto. Insomma, non avete scuse.
E mentre vi parlo di De André e di Svampa, la metropolitana mi conduce altrove, a ventimila leghe di distanza da Milano e da Brassens, in una stazione ispirata al Nautilus di Jules Verne : i muri sono ricoperti di lamine color bronzo e ci sono persino degli oblò.Per un attimo ci si ritrova in un sottomarino, effetto garantito. Se non ci credete potete verificare voi stessi alla fermata Arts e Metiers, sulla linea 11.
Attenzione però, non guardate solo sulla banchina. Anche nei vagoni si nasconde un po’ d’arte. Adoro quando dimentico il mio libro da leggere, ma finisco in una carrozza in cui posso leggere degli estratti di poemi di ieri e di oggi, mischiati a cartelloni pubblicitari.
Mi piacerebbe indicarvi tutte le volte in cui mi sono trovata ad alzare gli occhi e sorprendermi di un opera d’arte in metropolitana, ma ce ne sono davvero tantissime, impossibile descriverle tutte.
Alcune sono lì da sempre, altre installazioni sono effimere, come le mostre fotografiche ospitate spesso e volentieri nei corridoi della stazione di Chatelet e sulle banchine della linea A e B della Rer. È così che qualche tempo fa, sbirciando dal finestrino, ho conosciuto l’opera del fotografo brasiliano Sebastião Salgado e me ne sono innamorata follemente.
Parigi è una città cara, ma a volte la bellezza è gratis, o al prezzo di un biglietto del métro.

B – Bagagli (dimenticati) e Bombe
Sono nata alla fine dell’anno 1979. Qualche mese più tardi, una bomba è esplosa nella sala d’aspetto della stazione di Bologna, uccidendo 85 persone e ferendone centinaia. Sono poi cresciuta con i tentativi di Wile E. Coyote di fare esaltare in aria ponti e gallerie per acciuffare l’antipaticissimo Road Runner. Lo spettro dell’attentato terroristico in metropolitana fa parte del mio DNA, sempre in bilico fra l’orrore della verità e il ridicolo della fantasia.
Questo spauracchio è finito in un cassetto alla fine degli anni di piombo, è tornato fuori per un po’ dopo la caduta delle torri gemelle e, quando pareva ormai dimenticato, rieccolo d’attualità nel 2015 e da allora sembra non voler più passare di moda.
A Parigi, l’annata 2015 si è aperta con l’attentato a Charlie Hebdo e si è conclusa con il Bataclan. Tra marce di sostegno, “Je suis Charlie”, fiori, dibattiti, libri e documentari, nella vita quotidiana dei francesi si è infilata la paura. Per entrare in università bisognava mostrare il tesserino. Nei centri commerciali bisognava aprire le borse. Persino per entrare in biblioteca si dovevano svuotare le tasche dagli oggetti metallici.
“Perché?”
“È il piano governativo Vigipirate contro il terrorismo”
“Vigicosa?”
“Vigipirate. Guarda, hanno anche creato un adesivo”
Ebbene sì, in praticamente tutti i luoghi pubblici o aperti al pubblico l’adesivo “Vigipirate” (un triangolo bianco, rosso e nero) è diventato il simbolo della paura da attacco terroristico.
Lasciando la Parigi di superficie per la Parigi del sottosuolo, il simbolo del terrore è il temibile bagaglio abbandonato.
Prima dell’anno 2015 il viaggiatore metropolitano temeva i topi, i serial killer notturni che ti rincorrevano con coltelli da macellai, gli scippatori, il sudore del vicino di sedia in piena estate.
A partire dal 2015, il simbolo dell’orrore è uno zainetto incustodito.
Ogni bagaglio senza padrone è una potenziale bomba. Si perfeziona un protocollo di sicurezza per cercare di prevenire i rischi.
Sulle banchine, la voce dell’altoparlante ripete a intervalli regolari di fare attenzione intorno a sé e di contattare subito gli agenti, nel caso in cui ci si accorga della presenza di un bagaglio abbandonato.
Prima si temeva di farsi rubare la borsa, ora si teme di trovare una borsa.
Poi gli anni passano. E il protocollo resta.
E alla paura astratta della bomba si aggiunge la paura del ritardo mostruoso generato dal protocollo contro il terrorismo.
Perché ogni volta che un turista ricco e distratto dimentica un sacchetto sulla panchina, il pendolare parigino trema. Il protocollo prevede di far evacuare la stazione, di far arrivare i cani poliziotto per una prima ricognizione e poi di far brillare il bagaglio per sicurezza : BOOM.
Tempo medio dell’operazione: da una a tre ore.
Numero medio di bestemmie del viaggiatore abituale: incalcolabile ma tendente a infinito.
La RATP (la società che gestisce la metropolitana parigina) ha quindi deciso di risolvere il problema in un modo geniale : una campagna pubblicitaria per ricordare di non dimenticare.
In Francese non si parla di bagaglio abbandonato, ma di “bagaglio dimenticato”.
E tutte le volte che leggo i cartelloni o ascolto i messaggi in cui la RATP mi chiede gentilmente di non dimenticare i bagagli, mi scappa da ridere.
Da vera regina della distrazione, non posso impedirmi di pensare : “Sacrebleu! Se potessi ricordarmi di non dimenticare, non sarebbe una dimenticanza!!”
L’altoparlante annuncia per l’ennesima volta: “Avvisiamo i signori viaggiatori che il traffico è interrotto fra la stazione di Nation e quella di Bercy a causa di un bagaglio dimenticato”. Io mi preparo a cercare un percorso alternativo, alzando il volume della musica in cuffia e cercando di dimenticare di ricordare che il mio DNA è marcato dal timore di una bomba in stazione.

C – Corridoi
La mitologia greca racconta che il re Minosse avesse fatto costruire il labirinto di Cnosso per imprigionarvi il Minotauro, mostruoso frutto dell’amore fra la moglie Pasifae e un toro.
Mi domando quale aberrante creatura sia all’origine del dedalo di corridoi della metropolitana parigina.
Non parlo dell’intrigo delle linee, di quello parlerò magarti più avanti. No, parlo della quantità spropositata di corridoi, bivi, scalinate, tapis roulant, anfratti, spiazzi, scale mobili presenti all’interno di singole stazioni.
Narra la leggenda che le catacombe di Paname siano in realtà originate dalle ossa dei turisti che hanno osato avventurarsi nelle stazioni di Chatelet, Nation e Saint Lazare senza l’aiuto di una guida esperta. La leggenda l’ho appena inventata di sana pianta, ma giuro che è vero che nelle stazioni più grandi sono indicati i tempi di percorrenza per raggiungere il proprio treno. Persino google maps indica la distanza e il tempo necessario per muoversi all’interno di alcune stazioni.
E poi ci sono le scale.
Parigi non è una città per vecchi. E nemmeno il métro parigino lo è.
L’anno scorso, a causa di una distorsione al ginocchio, ho depennato una lunga serie di luoghi dalla mia rotta abituale. Le persone a mobilità ridotta non hanno accesso a tutte le stazioni, le scale mobili non sono sempre presenti e, anche volendo, scendere o salire pianin pianino i gradini, magari reggendosi a un corrimano, è del tutto impossibile nelle ore di punta, pena il linciaggio da parte dei pendolari che travolgono ogni ostacolo sul loro cammino.
Oltre alla fatica, nel mio caso personale subentra anche un secondo problema: la mancanza assoluta di senso dell’orientamento, unita a una distrazione costante.
Cammino per i corridoi, non vedo un cartello e mi trovo di colpo catapultata in un incubo: dove sono? Avrò abbastanza viveri per sopravvivere lungo il tragitto? Pollicino almeno aveva le briciole di pane, per tentare di ritrovare la strada! Aiuto!

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