Continuiamo con l’alfabeto della metropolitana di Parigi…
Leggi qui la parte 1.
D – Dopo partita
La Francia non è l’Italia. Però lo sport è lo sport.
E quando si parla di sport, le differenze si assottigliano.
Atleti e tifosi passano spesso dalle carrozze del métro. Osservando la popolazione che aspetta sulla banchina, si può conoscere esattamente quel che succede in superficie.
Ogni settimana, un’invasione di piccoli sportivi nelle carrozze mi ricorda che è marcoledì.
Il mercoledì pomeriggio le scuole sono chiuse e i bimbi parigini ne approfittano per imparare nuove discipline. Spazio ai corsi karaté, danza, calcio o rugby. Riconoscerli è facile : spesso finiscono l’allenamento e rientrano senza cambiarsi. Calzamaglie rosa pallido, calzettoni di spugna e kimoni si mescolano fra loro. Gli amanti della piscina indossano grossi berretti di lana, per coprire i capelli bagnati e i futuri fantini indossano con fierezza il cap, il casco da equitazione che li protegge dalle cadute da cavallo.
Il mercoledì pomeriggio per gli adulti è un pomeriggio come un altro. Un giorno in cui invidiare i bambini che ridono e in cui contare i giorni che mancano alle ferie. Eppure anche gli adulti fanno sport. Anche gli adulti entrano in metropolitana dopo gli allenamenti.
Non tutti, a dire il vero.
I tanti parchi della città invogliano ad andare a correre. I più fortunati, che vivono e lavorano vicino a un parco, non hanno bisogno di spostarsi coi mezzi pubblici.
Poi ci sono gli altri. Quelli che vedo in carrozza, la sera e il fine settimana.
Il sacco da palestra griffato o lo zainetto scolorito indicano se sono diretti verso un club esclusivo o una catena di palestre di second’ordine. E poi si vedono racchette da tennis, gente abbigliata anni ’50 per andare alle serate di danza rock’n roll sulle sponde della Senna, persone in tutina e pattini in spalla, biciclette (su alcune linee si accettano anche le biciclette), strumenti musicali per accompagnare le sessioni di Capoeira, neo hippies in lino con il tappetino da yoga in tinta, maratoneti con tanto di pettorina e chi più ne ha più ne metta.
Ci sono anche io, con la mia sacca da piscina. Ogni sabato mattina mi sveglio, maledico il mattino arrivato troppo in fretta, mi infilo in metropolitana e arrivando in piscina bestemmio perché mi accorgo di aver dimenticato le mutande di ricambio. Un sabato su due torno dalla piscina senza intimo ed è tutta colpa è delle olimpiadi! Quest’estate arriveranno le olimpiadi a Parigi. Per prepararle al meglio, molte piscine sono chiuse per lavori da oltre due anni. Molte piscine, compresa quella che si trova a qualche centinaio di metri da casa mia e che ospitava la mia associazione di nuoto, I castori.
La morale è che da due anni sono un castoro senza fissa dimora, obbligata a svegliarmi all’alba per raggiungere una piscina a tre quarti d’ora di metropolitana da casa mia. Sono quindi entrata, mio malgrado, nel numero degli sportivi metropolitani.
C’è poi un’ultima categoria di viaggiatori di cui voglio parlare: quelli che vivono lo sport in metropolitana. tutti quelli che lo sport lo vivono dall’altra parte della barricata: i tifosi.
Ben tre linee di metropolitana (linea 13, RER B e RER D) arrivano allo Stade de France, lo stadio a nord di Parigi che può ospitare più di ottantuno mila spettatori. Camminando per i tortuosi corridoi del métro capita spesso di trovare gruppi di tifosi di questa o quella équipe di calcio.
I sostenitori delle squadre inglesi sono senza dubbio i più rumorosi. Anche chi, come me, non ha la televisione e non si interessa al campionato, sa esattamente quando si giocherà un match del Liverpool o del Manchester a Parigi. Maglie e sciarpe variopinte invadono i trasporti pubblici sin dal mattino e nelle carrozze si respira aria di festa e odore di birra a buon mercato.
Quel che mi incanta però non sono le orde di tifoserie straniere, ma il momento magico in cui i francesi tornano a casa dopo aver assistito a una partita dei bleus, la squadra nazionale. Che si tratti di un incontro di calcio o di rugby, i bleus godono del sostegno di tutti, in particolar modo dei bambini. Adoro il dopo-partita, quando genitori stanchi portano sulle spalle piccoli tifosi addormentati, con i visi ancora tutti dipinti in bianco rosso e blu.
C’è qualcosa di estremamente intimo e fragile nell’osservarli, un po’ come sbirciare dalle finestre un momento privato. I bambini parigini sono mediamente molto discreti. Piangono poco, ridono poco, non parlano forte, sanno districarsi fra le linee e le direzioni della metropolitana meglio dei turisti. Insomma, i bimbi sono così adulti da mettere i brividi. Dopo le partite della nazionale, i bambini sono semplicemente bambini, dormono tra le braccia dei genitori o cantano, ancora eccitati per la vittoria. E d’un sol tratto mi pare di poter vedere come sono nell’intimità delle loro vite in famiglia.
Infine, una menzione speciale va ai tifosi delle tante nazionali “ombra” dei parigini con un altro paese nel cuore. Penso soprattutto a coloro che seguono, si emozionano, piangono, seguendo le vicissitudini della squadra algerina.
Durante l’ultima coppa del mondo di calcio, mi sono resa conto di quanto l’Algeria sia una seconda patria per un numero enorme di francesi. La metropolitana esplode letteralmente di cori da stadio dopo ogni incontro vinto dall’Algeria. Bandiere e magliette colorano il grigiore parigino. Guardando i tifosi in metropolitana, ho infine capito quanto siano profondi i legami fra la Francia e l’Algeria.
In Francia vivono più di 3 milioni di pied-noirs o di loro discendenti. I piedi neri sono cittadini di nazionalità francese residenti in Algeria.
Negli anni cinquanta e sessanta molti di loro sono tornati in Francia, ma il legame con il paese in cui sono nati e cresciuti, o – per i più giovani – in cui sono nati e cresciuti i genitori e i nonni, resta forte.
Nella metropolitana di Parigi, dopo ogni partita dell’Algeria, si tocca con mano una pagina recente della storia francese, tra grida di gioia e lacrime per un goal subito o inflitto. Sfoggiare sulla banchina la maglietta coi colori dell’Algeria è più che sostenere una squadra, è un modo di tornare alle proprie radici, inestricabilmente legate a quelle della Francia.
Penso ai mercoledì pomeriggio, ai tifosi, penso alle sacche da sport griffate e al passato della Francia. E mentre penso a tutto ciò, mi accorgo che mi son dimenticata di scendere alla mia fermata. Impreco e penso che arriverò in ritardo in piscina. Spero almeno doi aver messo le mutande in borsa, stavolta.
Stefania Colombo ha pubblicato per Morellini. Editore “La principessa ballerina”, una storia piena di poesia ambientata ai primi del ‘900 sul piroscafo Principessa Mafalda. Il romanzo è stato il primo libro corredato di Extended Book.