Elettrodomestici staccati, immondizia gettata, finestre sigillate. Martina percorse ogni angolo della casa. Aveva sempre pensato a tutto Giacomo. Se ne era andato da trentadue giorni. Le aveva gridato che, se avesse voluto una bambina di cui occuparsi, l’avrebbe messa al mondo! Era stanco delle sue paure ossessive. Martina tornò alla valigia, sul divano: beauty case, biancheria, costume, telo, due abiti, crema solare, gel per le meduse, gel disinfettante e il cuscino, schiacciato sul fondo. Tirò fuori a malincuore la piastra Rayson per i capelli: inutile tentare di domare i suoi ricci vicino al mare. Il basilico e lo yogurt in scadenza li avrebbe lasciati alla signorina Magoo, all’anagrafe Cesarina Raspanti la vicina che non distingueva un caco da un fico ma in quanto a udito era un fenomeno. Riconosceva il passo di tutti i condomini e anche il suono dei loro sbadigli: che fossero di noia, stanchezza, oppure mal digestione. Una sentinella coi fiocchi. Martina aveva fatto controllare l’auto da Gino, ruvido amante dei motori molto più delle persone, ed era pronta per il viaggio in autostrada. Da sola. La prima vera sfida imposta dalle amiche. Laura, Tania e Palo avevano organizzato tre giorni di prove di coraggio per farle vincere le sue paure. Altro che vacanza! Le avrebbe strozzate, ma avevano ragione. Non c’era altro da fare se voleva riprendersi Giacomo.
***
Davide,durante il viaggio aveva organizzato un week end da sballo per gli amici. Abituato a pensare a tutto, anche questa volta nessuno avrebbe avuto da ridire. Ne era sicuro. Il convegno a Trieste lo aveva sfinito. Arrivato in hotel spense il cellulare e si addormentò. Quando lo riaccese, una raffica di messaggi, come proiettili, apparì sul display. Con una sfilza di “no” ricamati da scuse varie, gli amici gli davano buca. Addio serata e go-kart il giorno dopo. Arrabbiato si buttò sotto una doccia bollente. Ne uscì mezz’ora dopo, con la pelle arrossata ma più calmo. Indossò i pantaloni khaki, una camicia bianca e scese nella hall. Con un labiale stretto ordinò al barman un calice di prosecco e si diresse verso la spiaggia sperando di levarsi di dosso quella pesantezza che lo infastidiva come se avesse ingoiato del piombo. A piedi nudi e con gli occhi bendati. Questo era stato l’imperativo per la seconda prova di Martina. Doveva entrare in mare fino alle ginocchia e rimanerci per almeno trenta minuti senza poter vedere. Da sempre il mare la turbava, quel moto perpetuo era energia pura, ma ogni volta che ci entrava, veniva sommersa dalla paura. Doveva sconfiggerla una volta per tutte. Era l’ora del tramonto, il mare era pacato e, ad ogni onda, ad ogni risacca, lei sprofondava un po’. Di lì a poco, le schifomeduse l’avrebbero circondata. Se lo sentiva, quegli animali feroci l’avrebbero scambiata per uno scoglio. «Via, via da me, statemi lontane bestiacce!»
***
Una donna in mare che muoveva le mani come se litigasse con l’aria: Davide si avvicinò e vide la benda sugli occhi. «Signorina, tutto bene? Ha bisogno di aiuto? Cosa sta facendo?» Il cuore di Martina accelerò. Ci mancava solo il provolone di turno! Con quell’abito leggero che teneva su con una mano, il foulard sugli occhi, doveva apparire strana. Cosa poteva aspettarsi? «Mi lasci stare. Non è affar suo!» «Su, signorina, tolga quella cosa dagli occhi e parliamone. Lo vuole un goccio di vino?» Martina allungò un braccio con il palmo aperto: «Stia lontano da me. Vada via! Non voglio parlare con nessuno e poi, si fidi, so già tutto! In un caso come il mio, questa è l’unica cosa da fare.» Davide pensò al peggio: una donna pronta a togliersi la vita proprio lì, proprio mentre passava lui. Guardò il bicchiere, poi la donna, poi il bicchiere e tracannò il vino. La prese per un braccio. «Ma cosa fa? Mi lasci!» Con uno strattone si tirò indietro quando sentì qualcosa pungerle un piede. «Il granchio assassino! Aiuto!» L’agitazione di lei contro le buone intenzioni di lui li fece finire in acqua.
***
Davide la trascinò, priva di sensi, sulla battigia. Lascosse, invano. Le afferrò il mento e il naso per immettere aria tra le labbra di lei finché non percepì un lieve respiro. Era andata bene. Le passò un braccio dietro la schiena e la tirò verso di sé, scostandole i capelli dal viso. Martina sentì uno stranosapore in bocca, sale misto ad alcool che doveva aver a che fare con il cocktail di benvenuto dell’hotel. Era tutto tranne che disgustoso, anzi ne desiderava di più. Afferrò quell’uomo per la nuca, premette le labbra contro quelle di lui che, calde e morbide, si fusero con quelle di lei. Un bacio profondo restituì a entrambi il vigore che lo spavento di poco prima aveva tolto. Il suono di un peschereccio li interruppe. Martina si ricordò della sfida. E di Giacomo. Si sciolse dall’abbraccio: «Scusami.» Corse via, voltandosi, avvolta in quell’abito bagnato che non lasciava nulla all’immaginazione. Davide raccolse il foulard rimasto sulla sabbia, lo avvicinò alle labbra come per baciarla ancora e ancora.
Anna Masotti