Donatella Brusati regala ai lettori un capitolo inedito di “Il desiderio del bene” il romanzo pubblicato con Morellini Editore.
Roma, marzo 1940
Affacciato alla finestra con le braccia conserte dietro la schiena, Francesco ammirava il volo radente delle rondini sui tetti della Biblioteca Vaticana.
«Hanno scelto un brutto periodo per tornare», borbottò fra sé. Non aveva nessuna voglia di incontrare il suo ospite, a cui aveva inviato pochi mesi prima una lettera di condoglianze per la morte del padre, più che altro per i ricordi della giovinezza, quando si incontravano ogni tanto ai cantieri di Livorno e i rispettivi genitori ne approfittavano per abbandonarsi alla comune passione marinara, marina da guerra per uno, marina mercantile per l’altro. Carlotta, la figlia di suo fratello Giovanni, si era persino presa una sbandata adolescenziale per il giovane che di lì a poco sarebbe entrato nel suo studio. Ne aveva fatta di strada il figlio del Ganascia, come a Livorno avevano soprannominato il padre Costanzo. E meno male che Carlotta, alla fine, aveva ceduto alla corte di un avvocato di Genova, del tutto indifferente alle lusinghe del fascismo.
Francesco faticava a sottrarsi al richiamo dell’ultima bottiglia di Armagnac, che aveva nascosto in fondo al secretaire, per fuggirne la tentazione. Quella visita, era sicuro, avrebbe messo a dura prova la sua già limitata pazienza. Stava per abbassare l’antina, quando entrò il giovane sacerdote che gli fungeva da segretario per le visite importanti.
«Sua eminenza, è arrivato il ministro degli Esteri…»
«Fallo accomodare, don Umberto», lo interruppe con tono sbrigativo.
La figura teatrale di Galeazzo Ciano si affacciò nella stanza. Era in abiti borghesi, lussuosi e raffinati, ma il fisico atletico di Francesco, austero nella tonaca, lo sovrastava di diversi centimetri
«Eminenza, sono davvero felice di rivedervi», l’avrebbe poco virilmente abbracciato, ma Francesco lo prevenne, stringendogli la mano con energia.
«Conte Ciano, sono rattristato per suo padre…» Il ministro abbassò il capo, per dissimulare la commozione.
«Era malato da tempo, ma continuava a mostrarsi un leone, come è sempre stato…», si fissò l’anulare al dito, «Era molto affezionato a vostro padre e anche a voi. Diceva che sareste stato un magnifico soldato».
Ciano pareva intimidito. Sulle labbra di Francesco affiorò un sorriso sardonico, che tentò inutilmente di trattenere.
«Sono un soldato che serve tutt’altro Padrone, conte.»
Lo fece accomodare sull’ottomana, scambiando qualche convenevole sulla sua famiglia e ostentando compiaciuto il “lei” in luogo del fascistissimo “voi”, che pareva non fosse familiare neppure al ministro.
«Volevo ringraziarvi personalmente da tempo per la bella lettera che avete inviato alla mamma in occasione della perdita di mio padre, ma non si è mai verificata l’opportunità. È un momento grave per la patria…inutile sottolinearlo.» La voce troppo acuta del conte risuonava solitaria nella stanza.
A Francesco tornarono alla mente i tempi di Livorno, quando Galeazzo, adolescente, pur vergognandosi della sua voce poco militaresca, amava discutere con lui, molto più grande e già sacerdote, dei libri che leggeva, recitando a memoria interi brani di Shakespeare e di Guido da Verona.
Sin d’allora, il cardinale era giunto alla conclusione che quel giovinetto era molto intelligente, ma non meno confuso e plasmabile. Mai avrebbe previsto, però, che sarebbe diventato addirittura il genero di Mussolini. Considerando la donna che aveva sposato, la capricciosa e autoritaria Edda, Francesco aveva stabilito che il povero Ciano aveva pagato ben salata la sua ascesa politica.
Le sue riflessioni furono interrotte da una richiesta del conte.
«Eminenza, il pontefice è molto cauto nei confronti della nostra alleanza con la Germania, ma voi saprete benissimo tutte le perplessità…», si alzò all’improvviso dall’ottomana, «chiamiamole così, tutte le perplessità che ho sempre avuto nei confronti del governo tedesco. Sono sicuro che intendete quanto dico, avendo conosciuto bene quanto sono infidi i nazisti. La decisione di costituire l’Asse Roma-Berlino ha colto di sorpresa anche me… avevo ammonito più volte il Duce sull’inaffidabilità di Hitler e dei suoi… Purtroppo, sono solo il ministro degli Esteri…»
A Francesco parve di intendere in quelle parole che Ciano confidasse di ascendere ancora più su, forse a scalzare chi lo comandava a bacchetta, proprio come faceva il padre Costanzo.
«Conte, è inutile indulgere negli errori trascorsi, possiamo solo sperare che l’Italia confermi la non belligeranza in questa guerra, che temo sarà molto più lunga e disastrosa di quanto il Fuhrer preveda.»
L’espressione abbattuta di Ciano lo avvertì che era una speranza vana. Allora perché aveva voluto incontrarlo? Non gli interessava certo conoscere la sua opinione, forse sperava di avere un alleato in Vaticano quando le cose si fossero volte al peggio, dal momento che si mormorava di incontri del ministro con diplomatici francesi e inglesi, sotto l’egida discreta di Pio XII. Infatti, trascorsero più di un’ora a discutere della pericolosità di Hitler e il ministro si vantò di essere riuscito a tenere a bada il suo omologo Von Ribbentrop, di cui descrisse, con enfasi pettegola, la testardaggine e la presunzione. Gallesi l’ascoltava attento, ma cauto.
Giunsero al momento del commiato.
«Non sono venuto da voi per discutere di politica, eminenza. Mio padre, avvertendo che stava per andarsene, mi aveva chiesto più volte di riferirvi un giorno quanta ammirazione e stima provasse per l’ingegner Gallesi e quanto auspicasse che suo figlio potesse un giorno divenire il nuovo pontefice. Ora che non c’è più, sentivo di dover esaudire il suo desiderio… Un tempo, ci chiamavamo Galeazzo e Francesco…» concluse, con la voce incrinata dalla commozione.
Donatella Brusati è geografa e insegnante di Lettere. Fa parte della redazione di “Milanonera” ed è co-fondatrice di Ombre Gialle, circolo di lettura crime. Il suo racocnto Odi et Amo è stato pubblicato nell’antologia Dieci piccoli colpi di lama, a cura di Paolo Roversi (Morellini Editore, 2022).