«Come ti pare ‘sto Brasile, a tia, Carmelo?” Gli pareva verde il Brasile a Carmelo, (...). «Giù da noi, con questo caldo, è tutto bruciato, giallo; qua pare che il sole gli fa un baffo, non dico agli alberi, ma pure all’erba».
C’è tutto un paese, Regalbuto, agli inizi del 900, a ruotare intorno a Carmelo Liquò: il padre ebanista, lo zio garibaldino, le baronesse Ingrassia, l’arricchito don Gaetano Oliva, il maestro Carlo Cozzi, venuto da Napoli, musicista di rango (primo violino al San Carlo), suo mentore e direttore del complesso bandistico S. Vito in cui Carmelo suona la tromba. E poi c’è l’amore contrastato per Beatrice, promessa a un altro. Su tutto ciò si allunga l’ombra della grande crisi economica degli inizi del XX secolo (“ma chi l’ha vista mai ‘sta belle epoque?”), la fame e l’emigrazione. Carmelo parte insieme ai suoi tre fratelli per il Brasile. Per un anno lavora in una fazenda non lontana da San Paolo. Qui si impratichisce della lingua (il portoghese) e stringe amicizia con la comunità nera, in particolare con Mirinhao, suo coetaneo e sodale. Insieme, i due, rimangono invischiati in una storia di soldi e morte. Fuggono, prima a San Paolo, poi, con un cacciatore di taglie alle calcagna, a Rio, e su, a nord, fino a Bahia. Carmelo si procura da vivere suonando il pianoforte nel bordello di madame Tatiana e poi, per vie traverse, s’imbatte nell’epicentro della cultura nera brasiliana: il Candomblé. Benedetto dagli Orixas (divinità sincretiche animiste), dei del Congo e Santi del Paradiso, conosce la tranquillità e l’agiatezza. Passerà anche quella, perché tutto scorre.
La Sicilia post-borbonica, il Brasile pre-samba, in un romanzo agile e ispirato, montato come un film e raccontato con un linguaggio fedele alla trama ma lontano dagli stereotipi.
Biografia dell'autore
Sal Costa

EXTENDED BOOK

Facce diverse spinte da un unico fluire. Il nonno, il padre, il figlio e nipote: acqua che scorre. Da quel torrente, con le mani a coppa, ci abbeverammo alla memoria fino a non saper più distinguere il falso dal vero. Però eravamo in tre, noi tre. L’acqua confonde tutto. Chi era chi?
Saravá è la storia di mio nonno, Carmelo Costa. Nel romanzo si chiama Carmelo Liquò perché mi faceva strano chiamarlo col mio stesso cognome. Io non l’ho mai conosciuto, quando nacqui lui era già morto, così tutto ciò che ho di lui è la memoria dei racconti di mio padre: suonava la tromba nella banda del paese, Regalbuto, e poi in teatro, durante gli intervalli delle rappresentazioni, faceva l’ebanista, sposò mia nonna che era poco più che una bambina, e amava ripetere: chi suona uno strumento ha le chiavi del paradiso.
Mio padre tenne sul suo comodino per tutta la vita una vecchia foto di piccolo formato che ritraeva mio nonno con una gran massa di capelli pettinati con la riga di lato e due baffetti che smisero di andar di moda negli anni Trenta del Novecento. Forse per difendere l’immagine irreprensibile del genitore, o per pudore, per tanti anni non lasciò trapelare nient’altro su mio nonno.
Quando mio padre si ammalò, io avevo quasi trent’anni. Un giorno lo misi in macchina e me lo portai in campagna. Sapevo che gli rimaneva poco da vivere e avevo bisogno di chiedergli cose intime che mi rivelassero non il padre, che conoscevo benissimo, ma l’uomo. Era una bella giornata di sole e lui fu contento d’aprirsi. Mi raccontò di amici, amori, passioni, la guerra, Parigi, l’università, l’incontro con mia madre. Poi passò alla sua famiglia d’origine, e lì dovetti un po’ faticare, mi feci incalzante con le domande. Seppi, a quasi trent’anni!, che mio nonno Carmelo era emigrato in Brasile insieme ai suoi fratelli agli albori del Novecento. Prima di partire si era sposato e aveva messo al mondo due figli, mio zio Tano (mai conosciuto, morto nel ’38) e la mia dolcissima zia Tuzza. Sua moglie era morta di tisi mentre lui era in Brasile, motivo che lo costrinse a tornare in Sicilia dopo dieci anni, per occuparsi dei suoi figli. Sposò in seconde nozze mia nonna quindicenne, fece con lei ancora quattro figli, il primo dei quali fu mio padre, e morì giovane, per appuntamento. Anche questa dovevo sentire!
“Come per appuntamento?”
Mi chiese una sigaretta. Ma sì, mi dissi, che differenza vuoi che faccia a questo punto, e mentre fumavamo mi raccontò la storia della morte di mio nonno per appuntamento.
A babbo morto, andai in Brasile. Volevo vedere i posti, respirare la stessa aria che aveva respirato mio nonno, pestare il terreno dove lui aveva poggiato i piedi, parlare con la gente, sentirne l’odore. Fui ingoiato, come lui cent’anni prima, dal Candomblé. Ed è strano perché non è roba da bianchi. Quando tornai in Sicilia, avevo già il romanzo che mi ronzava in testa. Per ricostruire la vita del paese d’origine, Regalbuto, mi feci aiutare dalle sorelle di mio padre, zia Tuzza, figlia di primo letto di mio nonno, e zia ‘Nzina, quella che sposò il figlio del maresciallo Fontana e rimase a vivere in paese. Il maestro Cozzi, i baroni Ingrassia, don Gaetano Oliva, il maresciallo Fontana, tutta gente vera. Condii il tutto coi miei ricordi da bambino, quando s’andava a Regalbuto per i Morti a portare un fiore sulla tomba di mio nonno Carmelo che lì riposa.
A voi che leggete, dico: la realtà, a volte, supera la finzione, ma la fantasia ci mette sempre del suo. In ogni ricordo. Di qualsiasi uomo. Che ne sia conscio o meno.
Um terreiro Bahia
Olodum pelourinho
Escultura devocional da Bahia