«Devi prenderti una pausa» disse il mio capo.
Così feci e decisi di voler affrontare la sofferenza proprio dove tutto era cominciato.

Un mese dopo

Sestri Levante, la mia fermata.
Con una mano spinsi il bagaglio lungo il corridoio del vagone. Mi accolse un venticello freddo che mi costrinse a portare alla bocca il libro che avevo stretto per tutto il viaggio. Il profumo della carta, mescolato a quello di mia moglie mi invase le narici e feci appello a tutte le mie forze per non salire sul primo treno e tornare a casa.
Amanda non c’era più e lui me lo ricordava, impietoso. Eppure quelle pagine meritavano di essere lette, il mio editor le aspettava e loro si ostinavano a voler uscire, comparivano nella mia testa senza preavviso, lasciando che i miei sogni si trasformassero in incubi.
Se nella mia testa, in due anni, tutto era cambiato, il nostro posto era immutato.
Devi inseguire il tuo sogno, mi ripeteva la sua voce a ogni angolo che avevamo visitato insieme.
«Benvenuto signor Stefano» mi accolse la voce squillante di Serafina.
«La ringrazio. Sono felice di essere tornato» accennai un sorriso.
«Abbiamo saputo della signora Amanda. Ci sono altre due camere restaurate…».
«È molto gentile da parte sua, ma va bene la solita».
Aprii la stanza e per un attimo mi sembrò di vederla sul letto, intenta a saltellare e sorridere come solo lei sapeva fare. Mi rivolse un sorriso e svanì.
Appoggiai il bagaglio senza disfarlo e gettai il libro proprio dove pochi istanti prima l’avevo vista.
La copertina bianca, il titolo provvisorio, quelle duecento pagine racchiuse in una rilegatura semplice mi stavano aspettando, loro non svanirono nel nulla.
Ce l’avrei fatta.
Attraversai il carruggio; una spiaggia dalla sabbia fine e un mare placido e cristallino mi accolsero in silenzio.
Mi sedetti e lo aprii. Lessi i suoi appunti disseminati per tutto il testo, era una critica giusta e severa.
A pochi metri da me c’era una donna, concentrata su un foglio bianco. La fissai incuriosito, mi fece un sorriso e continuò a scarabocchiare.
Ripresi a rivolgerle qualche occhiata fugace sperando che per magia quella matita incastrata fra i capelli fosse di Amanda. Fu la solita fantasia a farmi inciampare nei ricordi. I giorni seguenti tornai a sedermi su quel tappeto di granelli, deciso a correggere il manoscritto senza perdermi ogni suo appunto.
Più il tempo passava e più mi ritrovavo in quello che avevo scritto. Cominciai a correggere oltre, osavo senza ostinarmi a trovare un segno di lei.
La ragazza, con il foglio quasi consumato dalle cancellature, era sempre presente.
Un giorno la vidi alzarsi in piedi, togliere la matita, spezzarla in due per poi buttarla a terra.
Mi sollevai di scatto e raccolsi quei due frammenti.
«Tenga» glieli allungai.
«Ah…scusi… Sto cercando l’ispirazione, ma non ci riesco» mi disse rassegnata.
«Il suo sorriso assomiglia al mio» mi avvicinai.
Lei mi fissò per qualche secondo «Forse si è fatto un’idea sbagliata di me, non sono pazza».
«Non giudico nessuno, soprattutto quando sono impegnato a risolvere i problemi con me stesso».
Lei inchiodò gli occhi ai miei.
Guardando da vicino il suo blocco scompaginato, intravidi degli schizzi a carboncino.
«Posso vederli?» chiesi indicandoli.
«Guarda pure» me li passò. «Ops, le ho dato del tu…stare troppo da sola mi ha fatto perdere le buone maniere. Non dico che tu sia vecchio…accidenti…mi scusi ancora».
«Ho trentacinque anni, puoi chiamarmi solo Stefano» sorrisi.
«Io trentadue ma puoi chiamarmi solo Chiara».
Cominciammo a ridere e lei mi consegnò le sue tavole.
«Sono molto belle» le dissi. «Hai già fatto dei lavori sorprendenti».
Si incupì.
«Sono vecchi esperimenti di cui non riesco a disfarmi. In realtà non sono solo miei».
Cominciò a ordinarli in modo frettoloso, fino a che un luccichio dorato brillò sul suo dito.
«A domani, solo Chiara» scappai.
Il giorno dopo era di nuovo lì e notai che la matita era presente fra i suoi capelli.
«Potrei farti un ritratto mentre stai ricurvo sul tuo libro?» esordì dopo il solito saluto.
Annuii.

Due settimane dopo

Mi manca il dettaglio della matita e poi ho finito» annunciò. «Devi essere orgoglioso del tuo lavoro, Amanda lo sarebbe».
Alzai lo sguardo verso di lei e dopo molto tempo riuscii a non vedere riflessi negli occhi di una donna, quelli di mia moglie.
«Mi hai liberato da un incantesimo» le dissi.
«Tu hai fatto in modo che Alberto volasse via e il foglio potesse essere di nuovo mio» arrossì.
Ci stavamo guardando per la prima volta: Stefano e Chiara.

Tre settimane dopo

L’ultimo giorno di ferie arrivò.
«Oggi niente passeggiata alla scoperta di altre posti vicino alla Baia» mi disse appena arrivata. Senza nessun accordo, tirammo fuori i nostri lavori.
«Ti sono grato per quello che hai fatto per me, leggilo. Me lo spedirai quando avrai finito».
Chiara lo appoggiò dentro la borsa.
«Anch’io ho qualcosa per te» e mi consegnò il ritratto.
Trattenni le sue mani e senza pensarci, mi avvicinai baciandola.
Quella spiaggia aveva trovato un nuovo sapore.

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