Immobile, con la schiena appoggiata alla roccia ancora calda di sole e le palpebre abbassate sotto un ricamo di rughe, il vecchio pareva dormire.
Poi socchiuse gli occhi chiari e fissò la scultura di metallo sull’Isola di Bergeggi: L’uomo col clarinetto. Ne subiva ancora il fascino, quello che, tanti anni prima, l’aveva fatto innamorare della musica e abbandonare Noli e i progetti accarezzati per lui dai genitori.
«Il sassofono? Ma quello del musicista non è un lavoro vero!» aveva protestato il padre, che l’avrebbe voluto pescatore come i fratelli.
Lui, però, non voleva accontentarsi della vita difficile che per generazioni era stata quella degli uomini di famiglia: aveva altri sogni, per sé e per la donna che amava.
Così, ricevuto un ingaggio per suonare sull’Augustus, il transatlantico che collegava Genova con New York, se n’era andato senza rimpianti. O meglio, con l’unico, grande rimpianto dei capelli rossi e del sorriso luminoso di Armida. Ma era anche per lei e per offrirle una vita migliore che accarezzava il sogno della musica.
«Ritornerò!» le aveva promesso, mentre lei cercava di fermare col dorso della mano le lacrime che scivolavano sulle guance.
All’inizio si erano scritti tutte le settimane e lei gli aveva mandato una poesia trovata su una rivista.
«Parla di noi!»
I ragazzi che si amano, si chiamava. L’aveva scritta un poeta che lui non aveva mai sentito nominare, Jacques Prévert, e per anni aveva tenuto nel portafogli il foglietto stropicciato.
Armida, invece, era rimasta un sogno di gioventù. Negli anni Sessanta non era facile scriversi da un capo all’altro dell’oceano e, mentre lui continuava a solcare il mare suonando sulle navi da crociera, le buste leggere della posta aerea si erano fatte sempre più rare.
Quando erano passate troppe settimane dall’ultima, lei aveva temuto di essere stata dimenticata. Proprio allora un uomo più vecchio di lei, un farmacista torinese in vacanza in Liguria, le aveva proposto di sposarla e Armida non aveva saputo resistere alla sua corte discreta, alle pressioni della famiglia perché si sistemasse e al desiderio di avere dei figli. Così aveva lasciato il mare e l’amore dei vent’anni, che era rimasto come un grumo di rimpianto da qualche parte ben nascosta, che cercava di non stuzzicare perché non aveva mai smesso di farle male.
Lui invece aveva avuto tante storie, ma nessuna famiglia.
Terminata la stagione delle navi da crociera, non aveva voluto tornare a Noli, dove lo aspettavano troppi rimpianti e una tomba con la foto di una giovane donna dai capelli rossi, che il 3 agosto 1974 – lui non aveva mai saputo perché – era sull’Italicus al momento dello scoppio di una bomba.
Si era trasferito alle Maldive, che in quegli anni cominciavano a essere una meta turistica, ed era diventato il sassofonista delle isole, spostandosi con il suo sassofono da un atollo all’altro, in resort sempre più numerosi e di lusso.
La musica era stata una compagna fedele, ma ora che era vecchio ed era tornato al paese, sentiva che non gli aveva dato abbastanza. Era un bravo esecutore, ma prima di morire avrebbe voluto scrivere un brano indimenticabile; solo uno, capace di dar forma a quello che sentiva dentro di sé.
Ci sperava ancora e ogni giorno, nelle passeggiate solitarie fino alla spiaggia più vicina all’Isola di Bergeggi, portava il sassofono.
Quando, in quel pomeriggio trasparente di ottobre, sollevò la custodia, apparve un libro, seminascosto dalla ghiaia.
Poesie d’amore, di Prévert, lesse sulla copertina.
Il ricordo lo travolse. Con dita febbrili scorse le pagine e trovò quei versi che venivano dal passato.
Poi prese il sassofono. La musica cercata per anni fluì subito: furono paesaggi immersi in una luce sfolgorante, cieli dove le stelle erano così vive da parere a portata di mano, i colori cangianti del mare agitato dal vento. E fu il rimpianto crudo e doloroso per un sogno abbandonato troppo presto.
Mentre l’ultima nota galleggiava nell’aria, riprese il libro.
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno – lesse di nuovo – Loro sono altrove… Nell’abbagliante splendore del loro primo amore. – continuò una voce che non aveva mai scordato.
Senza bisogno di parole, ritrovarono gesti e sorrisi che parevano dimenticati.
Seduti sulla sabbia, si scambiarono un bacio leggero, ma in quel battito d’ali di farfalla il tempo si cancellò e ci fu solo un presente luminoso, in cui furono una cosa sola, per sempre.
Mano nella mano, con le dita intrecciate, si avviarono piano verso il mare. Fluttuarono sull’acqua con gli occhi pieni di luce e i passi danzanti di chi segue la stessa melodia. Nell’ultimo chiarore del tramonto, nessuno li vide sprofondare.
Franca Pellizzari